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Cure Palliative

La nascita della medicina palliativa si deve a Cicely Saunders, infermiera inglese, poi divenuta medico. Dopo avere assistito, per molti anni, malati di tumore in fase terminale, Saunders decise di fondare un’istituzione per permettere un trattamento dignitoso a tutti coloro su cui gravava una prognosi infausta.

Nacque così a Londra nel 1967 il St Christopher, ospedale, in cui l’attenzione principale, si rivolgeva alla qualità dell’ultima parte della vita dei pazienti, attraverso cure studiate per limitarne la sofferenza e i disturbi più invalidanti.

Il modello si diffuse in tutto il mondo, grazie a istituzioni pubbliche e private, contribuendo a sviluppare una disciplina medica specifica.

In Italia il primo servizio di cure palliative domiciliari è nato nel 1977, grazie a una collaborazione tra Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, e la Fondazione Floriani. Il primo hospice è, invece, nato in Lombardia nel 1987.

Nella storia della medicina palliativa in Italia bisogna considerare due tappe importanti:

1) la legge n. 405 del 2001 che stabilisce che le cure palliative sono un LEA (livello essenziale di assistenza) e devono essere assicurate dal servizio sanitario nazionale.

1) la legge 38 del 2010 che stabilisce il diritto del cittadino alle cure palliative.

La condizione dei malati terminali è sensibilmente migliorata. Almeno sulla carta. Il gap tra regione e regione, infatti, è ancora elevato e non sempre pazienti e familiari vedono riconosciuto il proprio diritto a un’assistenza specifica che va dall’hospice alle cure a domicilio.
Il rapporto 2015 sull’attuazione della legge 38, redatto dal Ministero della Salute, parla chiaro: negli anni sono diminuiti i pazienti malati di tumore deceduti in un reparto ospedaliero e aumentano i pazienti assistiti a domicilio. La mappa geografica dell’assistenza però è a macchia di leopardo: si va dai 6.917 della Lombardia ai 1.544 del Lazio fino ai 95 della Calabria.

Ancora più impressionante è il confronto tra regioni del numero annuo di giornate di cure palliative erogate a domicilio per i malati deceduti a causa di tumore: in testa ci sono il Piemonte (32.668), l’Emilia-Romagna (20.770) e la Lombardia (17.221); fanalini di coda il Lazio con 144 giornate annue e la Calabria con 44.

L’Italia, insomma, procede a due velocità. Come dimostra pure la distribuzione degli hospice sul territorio: ben 60 in Lombardia contro i 2 della Calabria, i 26 del Lazio , gli 8 della Puglia,

In questo contesto si colloca il lavoro di Amopuglia che mette al centro il malato e la famiglia. L’assistenza che forniamo attraverso una équipe di esperti è globale e interessa il paziente e la famiglia. Va dal controllo dei sintomi, fisici e psichici, alla terapia del dolore attraverso i farmaci. In Italia in molti casi siamo ancora vittime di una cultura medica «popolare», per cui si è portati «a ricorrere alle cure palliative solo poco prima di morire.

Invece un accesso precoce, se non addirittura simultaneo alla diagnosi della malattia, «potrebbe migliorare la qualità della vita che resta al paziente e in qualche caso pure allungarla». Senza contare che l’assistenza domiciliare o in hospice rappresenta un risparmio per lo Stato.
Per dare un’idea, mentre un posto letto costa intorno ai 1000 euro al giorno, l’assistenza a domicilio non supera i 100 euro.

Tra i primi obiettivi del lavoro di Amopuglia ci sono: assistere il malato e la famiglia, coordinare il programma di assistenza, integrare i servizi esistenti, ridurre il numero e la durata dei ricoveri in OSPEDALE, diffondere la filosofia delle cure palliative. Per quanto riguarda gli obiettivi specifici per il malato, vi sono il controllo del dolore e degli altri sintomi, il supporto psicologico,la riabilitazione e l’assistenza psicologica. Per quanto concerne invece la famiglia, gli obiettivi consistono nel supporto psicologico nell’integrazione all’interno del gruppo di assistenza domiciliare e nell’assistenza al lutto.

Alcuni autori hanno definito il campo d’azione delle cure palliative “una medicina non per aiutare a morire, ma una medicina per l’uomo”.

Anche quando molti medici arrivano alla conclusione che “non c’è più nulla da fare”, è importante garantire a malato di abbandonare la vita con meno dolore e meno paura possibili: perché affetto e cure aiutano chi muore e chi rimane a mantenere alto il senso della dignità umana.

La legge 38/2010 è molto avanzata, un vero e proprio faro per l’Europa in materia di cure palliative e terapia del dolore. Ma nella pratica, sugli analgesici siamo ancora vittime di pregiudizi, sostanzialmente legati alla terapia con oppiacei e alla morfina.
Fino a poco tempo fa al centro di tutto c’era la malattia.
Il medico era molto concentrato, e giustamente, sulla battaglia contro il tumore, anche se la persona ammalata pagava prezzi alti in termini di sofferenza e di qualità della vita.

Ora, le maggiori società scientifiche nazionali e internazionali, stanno lavorando per promuovere nuovi approcci.
La tendenza è sempre più quella di curare il dolore a partire da subito, contemporaneamente all’inizio della terapia antitumorale, e anche negli ammalati destinati a guarire. E non soltanto il dolore, ma tutti i sintomi, della malattia e della terapia: depressione, dispnea, parestesia, diarrea o stitichezza, difficoltà di nutrizione. Gli americani la chiamano early palliative care. È una presa in carico totale e precoce della persona con tumore.