Assistenza dei malati inguaribili: Italia solo 24esima
11/07/2017
Assistenza dei malati inguaribili: Gran Bretagna al top, Italia solo 24esima
CURE PALLIATIVE
Ecco l’atlante della buona morte
Assistenza dei malati inguaribili: Gran Bretagna al top, Italia solo 24esima
MILANO – C’è la qualità di vita delle persone: quanto e come si mangia, si dorme, si cammina, comunica o sorride, ad esempio. Ma c’è anche una qualità della morte: se ne parla poco e male, ma ci si pensa spesso. Non di rado sono proprio i malati e le loro famiglie ad infrangere i tabù che circondano il nostro morire. Questa volta è
stato un centro studi anglosassone, The Economist Intelligence Unit (elabora analisi e previsioni per il gruppo editoriale che pubblica The Economist) che ha messo sotto esame 40 Paesi e il modo in cui accompagnano i loro cittadini negli ultimi giorni, stilando anche una classifica: la Gran Bretagna è risultato il posto dove si dà la migliore assistenza di fine vita, l’Italia si piazza solo ventiquattresima, soprattutto per politiche contraddittorie e un accesso discontinuo alle terapie antidolore.
IL PIL CONTA POCO – Commissionata dalla Lien Foundation di Singapore, la ricerca è stata condotta per elaborare un indice utile a misurare la capacità di fornire assistenza di fine vita. Quaranta nazioni sono state valutate con una batteria di 24 indicatori e l’ausilio di sociologi, economisti, medici e specialisti in cure palliative, per vedere come sono in grado di occuparsi dei malati quando la guarigione diventa improbabile. I risultati hanno messo in chiaro che, anche se la vita media va allungandosi, le cure palliative sono una strategia in pochi luoghi al mondo e, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, in questo campo Paesi ricchi non sono necessariamente i più virtuosi. Secondo la Worldwide Palliative Care Alliance, nel mondo meno dell’otto per cento di chi ne avrebbe bisogno accede a hospice e cure palliative.
ANGLOSASSONI IN TESTA – In cima alla lista figura la Gran Bretagna, nonostante sia «lontana dall’avere un sistema sanitario perfetto» – scrivono i ricercatori -, soprattutto per la grande consapevolezza della popolazione, per la formazione del personale, l’accesso ai farmaci antidolore e per la trasparenza nella comunicazione fra medico e paziente. Con l’Australia seconda e terza la Nuova Zelanda, la classifica vede diversi Paesi ricchi in posizioni arretrate: Danimarca, Giappone, Italia fra il ventiduesimo e ventiquattresimo posto. In fondo, Cina, Brasile, India e Uganda, con alcune eccezioni interne, come lo stato indiano del Kerala, che spicca per i servizi di assistenza a domicilio e in hospice. «In Italia lo sviluppo delle cure palliative ha avuto una storia discontinua con una mancanza di coordinamento e fino a tempi recenti un accesso inadeguato ai farmaci oppiacei» ha commentato David Clark, esperto dell’università di Glasgow e fondatore dell’International Observatory on End of Life Care, l’osservatorio internazionale sull’assistenza di fine vita.
I TABÙ SI PAGANO CARI – The Economist Intelligence Unit ha tratto dai risultati dello studio e delle interviste agli esperti cinque conclusioni. Primo: combattere i tabù culturali sulla percezione della morte è fondamentale per migliorare le cure palliative. Nelle società occidentali la morte è stata medicalizzata, è importante curare per guarire, no per far star meglio, e troppo spesso l’assistenza in hospice viene negativamente associata al gettare la spugna. Secondo: il dibattito su eutanasia o suicidio assistito, spesso condotto con clamore su giornali e televisione, non coinvolge grandi fette di popolazione, ma può servire a far pressioni per migliorare il sistema di cure palliative. Terzo: la disponibilità di farmaci per controllare il dolore è la questione pratica più importante. Quarto: troppo spesso le cure palliative non sono rimborsate dallo stato, ma sono disponibili solo grazie a associazioni e enti caritatevoli (gli autori citano gli Usa, dove le assicurazioni mediche pubbliche rimborsano le cure palliative solo ai pazienti che rinunciano ai trattamenti curativi). Infine, quinto punto: migliorare le cure palliative significa in ultima analisi risparmiare. Aumentando assistenza domiciliare e in hospice si possono ridurre i costi dei ricoveri ospedalieri e degli accessi al Pronto soccorso.
Donatella Barus
(Fondazione Veronesi)